Il 10 settembre 2019, Google, oltre ad aver tolto senza preavviso la vecchia Search Console, ha pubblicato un articolo sul Webmaster Blog dove spiegare i cambiamenti importanti relativi all’attributo nofollow.
In buona sostanza, se non hai voglia di leggere tutto l’articolo:
- Vengono introdotti 2 nuovi attributi, rel=”ugc” e rel=”sponsored” per permettere a Google di identificare al meglio link creati nel contesto di contenuti generati dagli utenti (UGC) e creati per questioni di advertising/sponsorizzazione (sponsored);
- Il nofollow diventa da ieri, 10 settembre 2019, un suggerimento a livello di ranking;
- Il nofollow diventerà un suggerimento a livello di indexing e di crawling dal 1 marzo 2020;
- I tuoi link nofollow verso l’esterno, se fatti con cognizione di causa e per indicare a Google che non “supporti” il sito che riceve il link, possono rimanere come e dove sono ora;
- I tuoi link nofollow in struttura, se fatti per inibire l’indicizzazione di una pagina (utilizzando in modo improprio il rel=”nofollow” anche nella sua vecchia versione), dal 1 marzo 2020 saranno inaffidabili. Dovrai utilizzare implementazioni più appropriate come il robots.txt;
Se invece vuoi approfondire la questione ti auguro una buona lettura.
Cos’è stato, in breve, l’attributo nofollow
Adottato ufficialmente nel 18 gennaio del 2005 grazie all’endorsement di moltissime grandi realtà del web (mentre io andavo ancora a scuola!) l’attributo “rel=nofollow” era stato ideato e lanciato essenzialmente per contrastare il link spam (nell’articolo citato si fa un esempio del classico comment spam) per poi evolversi in tante cose:
- primariamente uno strumento di “sanitarizzazione” dei link in uscita del sito, i quali venivano (e per ora, a livello di crawling e indxeing, ancora vengono), una volta che avessero contenuto la stringa “rel=nofollow”, “disconosciuti” dal sito che li ospita, con l’effetto pratico di bloccare il crawler prima che questo “attraversasse” il link e di far si che questo link non passasse PageRank, il “valore di autorità” distribuito da ogni pagina web attraverso i suoi link in uscita, conosciuto anche con tanti altri nomi quali link juice, link equity etc. etc.,alla pagina verso la quale puntava;
- Il nofollow veniva utilizzato in questo modo (perché in futuro, probabilmente, sarà meglio attrezzarsi con altre strategie) per distinguere i link verso siti che semplicemente interessavano ai nostri utenti, verso i quali facevamo “voto di fiducia” di fatto spingendoli attraverso il nostro backlink, e i link in uscita fatti per scopi commerciali e pratici che interessavo principalmente a noi webmaster, come quelli verso sponsorizzazioni o affiliazioni, quel tipo di link che Google vuole vedere trattati in modo differente senza che noi li “spingiamo”, pena una possibile penalizzazione per spam;
- ad un escamotage utilizzato dai webmaster per controllare in modo capillare la distribuzione del PageRank attraverso il cosiddetto “PageRank sculpting“, una strategia basata sul vecchio (e ora differente) comportamento di Google secondo il quale il PageRank veniva passato solo per i link “vivi”, senza nofollow appunto (i link “dofollow” non esistono, sono un obbrobrio creato per velocizzare il discorrere sulla natura dei link).
Una pratica decaduta quando Google ha deciso che, semplificando molto, il PageRank fosse distribuito solo attraverso i link senza nofollow ma dividendo comunque “la quantità” di PageRank passato tra tutti i link della pagina, come accade tutt’ora, calcolando il valore passato attraverso ogni singolo link in modo non lineare attraverso un conteggio che prendesse in considerazione tutti i link in uscita di una specifica pagina web, con e senza nofollow; - uno strumento per scolpire il crawling del sito, a prescindere dalle questioni legati al PageRank. Ci sono siti e temi di CMS che lo utilizzano come un vero e proprio strumento per delineare la struttura di un sito web e inibire ad esempio l’indicizzazione di specifiche pagine o sezioni del sito, pratica da sempre sconsigliata e comunque non più attuabile visti i cambiamenti annunciati;
Fatta questa premessa, con l’articolo del 10 settembre Google ha deciso che:
Il web si è evoluto da quando il nofollow fu introdotto nel 2005 ed è tempo per il nofollow di evolversi a sua volta
Andiamo ad analizzare quindi questa “evoluzione” la quale, ti premetto, mi rende piuttosto dubbioso sull’utilizzo di questo termine.
I nuovi rel=”sponsored” e rel=”ugc”, due morti che camminano
Introducendo secondo me il classico “specchietto per le allodole” Google parte subito introducendo due nuovi attributi da affiancare al classico rel=”nofollow” e nel contempo dando anche una nuova definizione per quest’ultimo. Tradotto (e parafrasato) dall’articolo:
rel=”sponsored”: Utilizza l’attributo “sponsored” per identificare i link sul tuo sito che sono stati creati come parte di azioni pubblicitaria, sponsorizzazioni o comunque parte di una compravendita (NOTA: il termine usato, “accordo di compensazione”, è molto vago e probabilmente riferito allo scambio di denaro);
rel=”ugc”: l’acronimo UGC sta per User Generated Content e per questo l’attributo ugc è raccomandato per tutti i link che vengono creati dagli utenti del sito negli spazi nei quali possono pubblicare contenuti, come i commenti o i post nei forum;
rel=”nofollow”: Utilizza questo attributo nel caso tu voglia mandare un link ad una pagina ma non vuoi implicare nessun tipo di “voto di fiducia” verso la pagina stessa, tra i quali l’aiuto nel posizionamento che danno i link in uscita verso un’altra pagina (NOTA: viene usato il termine “ranking credit”, ho voluto parafrasare per chiarire);
Senza girarci intorno secondo me questi nuovi attributi sono nati morti: seppure una parte di questi link può essere (e sarà) automatizzata dai CMS per blog e forum, che inizieranno a iniettare in ogni link l’attributo ugc, questa è la classica implementazione di Google che , come il rel=”author”, verrà febbrilmente discussa e implementata solamente dagli addetti ai lavori. La risposta sul perché si trova facendosi una semplice domanda “a chi serve questa distinzione della tipologia del link?”. Semplice! Solo a Google.
A parte riferirsi a “sponsored” come preferibile diverse volte durante l’annuncio e la sua comunicazione di fatto il nofollow può ancora fare, per loro stessa dichiarazione, il suo lavoro senza scomodare i nuovi attributi. L’unico modo che avrebbe Google di forzarne l’implementazione, perché gli farebbe molto comodo potersi “fidare” almeno in modo parziale dell’input e risparmiare computazione sul set gargantuesco di dati che tratta, sarebbe annunciando una qualsivoglia di influenza di questi attributi sul ranking, ma dubito lo farà, anche se a dire il vero avrei dubitato anche se mi avessero detto che questo cambiamento bollisse in pentola. In realtà a questo punto potrei aspettarmi anche una cosa del genere.
Nell’annuncio, e più nello specifico nelle FAQ, c’è anche un riferimento al fatto che i webmaster dovrebbero riflettere sul fatto che “Usare questi nuovi attributi ci permette di processare meglio i link mentre analizziamo il web. Questo potrebbe includere i tuoi stessi contenuti, se le persone che ti mandano i link utilizzano questi attributi.“, quasi a dire che sta a noi chiedere che vengano utilizzati in modo corretto per non incorrere in problemi di posizionamento per il nostro stesso sito. Un rimando sottile ma molto significativo nell’ambito della comunicazione di un’azienda del calibro di Google. Personalmente rimango perplesso.
Concludo questa sezione dell’articolo dicendoti che secondo me Google usa questi due attributi come distrazione per non farci riflettere su di un cambiamento molto più importante e annunciato con molta meno enfasi: rel=”nofollow” diventa un suggerimento e non una direttiva per il ranking e in futuro per il crawler.
Update: Mueller chiarisce la questione della necessità del rel=sponsored nei link affiliati
Il 7 febbraio 2020, rispondendo ad una domanda diretta di un utente il quale chiedeva esplicitamente se fosse necessario il rel=sponsored per i link affiliati, John Mueller ha risposto in un Webmaster Hangout che:
Il nofollow è sufficiente: se puoi, aggiungere il rel=sponsored ci aiuta un pochino a capire meglio di cosa si sta parlando ma non è nulla che considererei critico. Se devi cambiare i link nel tuo sito lascia perdere, se ne crei uno nuovo implementalo
Tradotto dal “googlerese” beh, semplicemente a loro farebbe tanto piacere perché li aiuterebbe nel training dell’algoritmo ma no, non serve veramente. Si tratta della solita comunicazione vaga che fa comodo a Google, purtroppo.
Puoi ascoltare tu stesso Mueller nel video:
Il rel=”nofollow” diventa un suggerimento al crawler (il vero cambiamento importante)
Cosa significa questa cosa? Che Google ha deciso che da ieri farà un po’ quello che gli pare con i link a livello di ranking, in modo ora ufficiale: dico questo perché a sentire tanti colleghi il nofollow era “un consiglio” già da un po’ da diversi punti di vista. Lasciando però perdere queste (seppur affascinanti e provenienti da fonti autorevoli) ipotesi e concentrandosi sulle dichiarazioni voglio tradurre quanto detto nell’annuncio:
Quando fu introdotto il nofollow Google escludeva ogni link avente questo attributo nel computo degli algoritmi di ricerca, ignorandone il segnale. Questo sta per cambiare. Tutti gli attributi relativi ai link, sponsored, UGC e nofollow, saranno trattati come suggerimenti su quali link considerare o escludere nell’ambito della Google Search. Useremo questi suggerimenti, insieme ad altri segnali, come un modo per comprendere e analizzare al meglio come utilizzare questi link nei nostri sistemi.
Perché non ignorare completamente questo tipo di link come fu con il nofollow? I link contengono informazioni importanti che possono aiutarci a migliorare la ricerca, come ad esempio le parole utilizzate nel contesto del link per descrivere ciò a cui puntano. Osservare tutti i link che googlebot incontra può inoltre aiutarci a capire meglio i pattern non naturali di link (e identificare meglio il link spam N.d.Emanuele). Spostandoci verso il modello dei suggerimenti non perdiamo più queste importanti informazioni permettendo comunque ai proprietari dei siti web quali link non dovrebbero ricevere “il peso” di un voto di fiducia in prima persona.
Per chiarire ancora meglio cosa significa che rel=”nofollow” diventa da ieri 10 settembre 2019 un suggerimento per il ranking (perché a livello di indexing e crawling, come detto nella introduzione, il cambiamento diverrà effettivo il 1 marzo 2020), prendendo ad esempio un link in nofollow verso un sito completamente fuori tema che ci è stato pagato, magari il classico link al sito di betting che vendiamo perché sono gli unici a pagarci un guest post (che mettiamo in nofollow dopo aver chiesto su Fatti di SEO):
- Con il vecchio nofollow si dava una indicazioni specifica a Google, quella di non seguire il link, quindi di non “attraversarlo”, ignorandolo e dicendogli “non ripongo fiducia in questo sito e non voglio che il mio link lo aiuti a posizionarsi“;
- Con il nuovo nofollow si suggerisce quanto detto qui sopra a Google, magari aggiungendo “sponsored” (si possono usare contemporaneamente). Il suggerimento, in quanto tale, può venire seguito o, ohibò, ignorato a completa (e insondabile) discrezione di Google. Potrebbe darsi che:
- “Mmm su 7 post del tuo sito sui gatti 2 hanno un link verso siti betting, stai dando un disservizio ai tuoi utenti, di addio al tuo traffico“;
- oppure che “Beh, per qualche ragione che non saprai mai, ho deciso che questo link spingerà comunque il sito di betting! Hurrah!“;
- Come segnalato giustamente in questo video di Giorgio Taverniti sulla questione può anche darsi che alcuni link “sanitarizzati” a prescindere con il nofollow per policy arbitrarie, come quelli di Wikipedia o ad esempio, aggiungo io, quelli da grandi forum come Reddit, possano venire “promossi”, senza che ci venga detto, da Google. Questo apre a scenari tutti da scoprire riguardo l’acquisizione di questo tipo di link (e opportunità per i link builder);
È questo il cambiamento veramente importante annunciato, con ramificazioni su tantissimi aspetti della SEO, soprattutto quando diventerà effettivo a livello di crawling e di indicizzazione, per il quale dovremo adottare (o continuare ad adottare, visto che nel mio caso non mi sono mai affidato al nofollow per questioni relative a questi due aspetti) strategie differenti per dare struttura e costruire il significato attraverso di essa.
Tornando a quanto detto da Google, a parte tutti i bei discorsi sul “lo facciamo per voi” penso ci siano altri motivi più o meno probabili dietro questa scelta, ovvero:
- Rendere il processo di analisi del sito meno trasparente;
- Poter giustificare anomalie e decisioni discutibili;
Se seguire o meno il “suggerimento” verrà deciso di volta in volta da una macchina attraverso un algoritmo, entrambi sistemi che debbono fare i conti con la più grande sorgente dati della storia dell’umanità e dargli un senso. La possibilità di farlo viene, immagino, dall’evoluzione delle tecnologie di intelligenza artificiale in seno a Google, la quale probabilmente aveva in programma questa cosa già da diverso tempo (anche se, dati gli ultimi sviluppi, potrebbe anche darsi che si siano trovati la soluzione “in braccio” per puro caso). Tutto molto bello, e spero che funzioni bene.
La realtà è che guardando un link in nofollow ora non si avrà mai la certezza di cosa Google farà di quel link e non si potranno prendere decisioni supportate da certezze relative a queste implementazioni: non si potrà pensare “questa pagina è stata vista dal crawler ma escludo che sia passata da qui, c’è il nofollow!” e, se si prende una bella penalizzazione per link spam, magari algoritmica e senza avviso nella Search Console, non si potrà escludere di averla presa per i link nofollow presenti sul sito, tra le prime cose che mi vengono in mente (NOTA: se hai delle altre idee scrivi un commento, nel caso le ritenessi interessanti le integrerò nell’articolo citandoti molto chiaramente come sono solito fare).
A Google questa confusione fa comodo: in qualsiasi caso, anche quando uno dei tanti organismi antitrust indagheranno sulle pratiche di Google decidendo se sono più o meno corrette, a Mountain View potranno dire “il sistema si è sbagliato“. Purtroppo più che dietrologia questo mi pare un chiaro “vantaggio”. Intendiamoci: Google fa quello che gli pare da un po’ senza bisogno di giustificarsi. Ma ultimamente tanti gli si stanno mettendo di traverso e avere una giustificazione in più non è male per loro.
Inoltre il nofollow, anche nella versione “light” dopo il già citato cambiamento nella distribuzione del PageRank di qualche anno fa, era uno strumento utilizzato in modo “creativo”, scolpendo la distribuzione del PageRank ma anche il significato e la semanticità di un sito, tutti utilizzi che probabilmente Google non aveva previsto e non gradiva particolarmente. Ora, vista l’incertezza intorno all’implementazione o anzi, l’interpretazione di Google della stessa, il rapporto “costi/benefici” di queste strategie viene stravolto. La festa è finita. Certamente ci sarà da divertirsi per i SEO più curiosi e serviranno nuove edizioni dei manuali, per la felicità degli editori (e la tristezza di chi avrà in magazzino le versioni obsolete).
Domande frequenti
Vorrei ora tradurre le FAQ allegate nell’articolo da Google per aiutare chi non mastica l’inglese (iniziate a masticare!):
Devo cambiare i nofollow esistenti?
No. Se stai usando il nofollow come strategia per bloccare i link sponsorizzati o per dire che non darai il tuo voto di fiducia verso la pagina alla quale punta il link, sappi che continueremo a supportare la cosa. Non c’è nessun motivo per cambiare i link nofollow che già hai creato.
Posso usare più di un valore per il “rel” nei link?
Si, puoi utilizzare più di un valore per il “rel” del link. Ad esempio rel=”ugc sponsored” è un attributo perfettamente valido che suggerisce che il link viene da un contenuto generato dall’utente ed è sponsorizzato. È anche possibile utilizzare nofollow con i nuovi attributi, ad esempio con rel=”nofollow ugc”, nel caso tu desiderassi essere retrocompatibile con i servizi che non supportano i nuovi attributi.
Se sto utilizzando il nofollow per le ads o per i link sponsorizzati dovrei cambiarlo?
No. Puoi continuare ad usare il nofollow come metodo per segnalare quei link ed evitare una possibile penalizzazione per schema di link. Non devi cambiare nulla del tuo markup attuale. Se hai dei sistemi che appendono questa stringa ai nuovi link puoi continuare ad utilizzarli. Consigliamo comunque di passare a rel=”sponsored” quanto di sarà possibile e comodo farlo.
Devo ancora segnalare le ads e i link sponsorizzati?
Si. Se vuoi evitare una possibile penalizzazione per schema di link usa rel=”sponsored” o rel=”nofollow” per segnalare questi link. Preferiremmo usassi “sponsored” ma nofollow va comunque bene e verrà trattato allo stesso modo in questo contesto (segnalare le ads e le sponsorizzate N.D.Emanuele)
Cosa succede se utilizzo l’attributo sbagliato in un link?
Non esiste un attributo sbagliato (per Google, perché mettere il flag su di un link in uscita in teoria, perché ora è un suggerimento, lo “sterilizza” a livello di PageRank e a livello di computazione del significato della pagina N.D.Emanuele) fatta eccezione dei link sponsorizzati: se segnali con il flag un link UGC o un link non pubblicitario come “sponsored” vedremo questo suggerimento ma l’impatto, ammesso che ci sia, potrebbe al massimo essere che non conteremo il link come un segnale di fiducia verso la pagina alla quale punta. In questo senso non c’è differenza rispetto allo “status quo” di tanti link UGC e non pubblicitari già trattati con attributo nofollow.
È un problema invece nel “verso” opposto: ogni link che sia chiaramente pubblicitario o sponsorizzato deve utilizzare “sponsored” o “nofollow” come descritto in questo articolo. Usare “sponsored” è preferibile ma “nofollow” è accettabile.
Perché dovrei disturbarmi nell’implementare questi nuovi attributi?
Usare questi nuovi attributi ci permette di processare meglio i link mentre analizziamo il web. Questo potrebbe includere i tuoi stessi contenuti, se le persone che ti mandano i link utilizzano questi attributi.
Non è che cambiando l’approccio verso quello per “suggerimenti” verrà incoraggiato il link spam nei commenti e nel contenuto generato da utenti?
Tanti siti che consentono a terze persone di contribuire ai contenuti stanno già usando dei deterrenti verso il link spam, tra i quali i tool di moderazione che possono essere integrati in tantissime piattaforme di blogging e per la revisione umana. Gli attributi “ugc” e “nofollow” continueranno a rappresentare ulteriori deterrenti. Nella maggior parte dei casi spostarci ad un modello basato sui suggerimenti non cambierà il modo nel quale trattiamo questo genere di link. Generalmente li tratteremo come li abbiamo trattati già da prima con il nofollow, non considerandoli per le questioni legate al posizionamento. Continueremo comunque a valutare attentamente con utilizzare il segnale dei link nell’ambito della Google Search, così come abbiamo sempre fatto e come siamo stati costretti a fare in situazioni dove questi attributi non ci erano stati forniti.
Quand’è che questi attributi e questi cambiamenti saranno effettivi?
Tutti gli attributi, ovvero “sponsored”, “ugc” e “nofollow” sono già considerati come suggerimenti da noi incorporati per le valutazioni relative al ranking. Per quanto concerne invece il crawling e l’indicizzazione il nofollow diverrà un suggerimento il 1 marzo 2020 (non è chiaro se, per crawling e indexing, gli altri due attributi siano già suggerimenti, sigh… N.D.Emanuele). Quelli che fanno affidamento sul solo nofollow per inibire l’indicizzazione di una pagina (strategia che non è mai stata consigliata) dovrebbero usare uno dei meccanismi più robusti indicati nella nostra pagina d’aiuto “Learn how to block URLs from Google“.
Conclusioni
Questo purtroppo è l’ennesimo cambiamento che mi lascia perplesso ma non mi stupisce: Google sta facendo sempre più passi indietro riguardo la trasparenza verso gli operatori con i quali, di fatto, dovrebbe collaborare. Fermo restando che le cose possono cambiare molto velocemente, per ora direi che possiamo semplicemente continuare ad utilizzare il nofollow con la consapevolezza che, alla fine, decide lui (Google) in tutto e per tutto.
Andrea says
Ciao Emanuele e grazie per l’articolo che approfondisce molto chiaramente il nuovo tema dei “suggerimenti”.
A mio parere questo è il primo passo verso un cambio di paradigma, e sicuramente influenzerà le nostre SERP. Mi spiego meglio.
Il “vecchio nofollow” era pilotato dai webmaster che decidevano se il link inserito sul loro progetto web era meritevole o meno. Con la nuova metodologia degli “hints” tutto cambia perché Google percorre ugualmente quei link (anche se nofollow o sponsored) e li analizza. Google, che inizialmente si era escluso, si siede ora al tavolo con noi per capire chi davvero merita e chi no.
A Google stanno a cuore gli utenti, perché gli utenti cercano, e cercando generano mercato per la pubblicità. Quello che sta a cuore agli utenti è trovare contenuti utili e pertinenti. A noi sta a cuore che gli utenti digitando le parole chiave finiscano sui nostri contenuti.
Il fatto è che agli utenti non interessano i benefici che i link di affiliazione portano ai webmaster, come non interessa che la loro ricerca sia dirottata verso lidi che non avrebbero mai esplorato (perché magari abbiamo piazzato un articolo per una parola chiave ben specifica).
Stiamo vivendo un cambio di paradigma. I contenuti naturali, costruiti con expertise e valore nel tempo probabilmente beneficeranno molto positivamente di questo cambiamento, a discapito di altri contenuti, magari dettati esclusivamente da ottiche di monetizzazione e posizionamento artificiale.
Da un lato sono contento… dall’altro, rimbocchiamoci le maniche.
Emanuele Vaccari says
Ciao Andrea, grazie per il feedback e per la mail dove mi facevi notare che non avevo aperto i commenti, mi è stata molto utile :).
Penso tu abbia ragione nel dire che questo cambiamento sia parte di un cambio di paradigma, anche se non sono certo che la bilancia penderà esclusivamente verso i contenuti fatti per gli utenti piuttosto che per Google, anzi il linkspam potrebbe diventare selvaggio perché c'è la possibilità (non verificabile) che un link ad esempio su Wikipedia, come giustamente fa notare Giorgio Tave nel suo video, abbia d'un tratto un valore in termini di PageRank. Sicuramente bisognerà essere vigili. Grazie per il tuo contributo!