1 ► Gary Illiyes ha pubblicato sul blog dei webmaster di Google una specie di “press release” sul passaggio al mobile first index(ing). Ebbene, sta accadendo, è ufficiale. Nel post spiega un po’ cosa è necessario fare per prepararsi appunto a questo cambiamento, ma voglio tradurvi un primo passaggio per chiarire la faccenda:
“Per riassumere, allo stato attuale delle cose i nostri sistemi di crawling, indicizzazione e posizionamento solitamente utilizzano la versione desktop del contenuto di una pagina, cosa che potrebbe causare problemi per chi cerca da mobile quando questa versione ( la desktop N.D.Emanuele ) è molto diversa da quella mobile. Mobile-first indexing significa che useremo la versione mobile del contenuto per indicizzare e posizionare, per aiutare i nostri utenti ( primariamente mobile ) a trovare ciò che cercano. I webmaster vedranno un aumento significativo del crawling da Smartphone Googlebot e gli snippet nei risultati di ricerca, così come il contenuto delle pagine nelle cache, saranno dalla versione mobile delle pagine.
Detto questo, siti che utilizzano il design responsivo e che implementano correttamente il dynamic serving ( che include tutto il markup desktop e il contenuto ) non devono generalmente fare nulla.”
Seguono i consigli per chi ha siti mobile dedicati. Leggere!
Psssst: il 23 Dicembre 2016 ho pubblicato questo video dove ragiono a ruota libera sulle opportunità del Mobile First Index, se non l’avete visto dateci un’occhiata: https://www.youtube.com/watch?v=LbMN6tHwMjQ
2 ► Un sempre più magro John Mueller ha dichiarato in in hangout svoltosi il primo Dicembre che il tool per segnalare il cambiamento di indirizzo di un sito in Search Console non funziona in caso si vogliano dividere o “compattare in uno solo” siti già esistenti ed indicizzati, sia su due domini differenti o in sottodomini.
Mueller specifica anche che la “divisione” di un sito è difficile da processare per Google, molto più ad esempio che un cambio di nome dominio, e può creare volatilità ( Google dance per i più tecnici ).
3 ► Pare che qualche ipoconSEOdriaco utilizzi liste preconfezionate di siti per fare disavow a prescindere, mamma mia! Liste di siti spazzatura per i quali disconoscere, per sicurezza i link: Google lo sconsiglia. Grazie Google.
Il googler in questione è sempre John Mueller in un altro hangout: parla di “lavoro non necessario“. Io continuo a dire che probabilmente il disavow mette in atto diverse procedure di analisi che in un qualche modo flaggano il sito in modo negativo, ma sicuramente non sono particolari che potrebbe divulgare anche se volesse.
Tornando alla nostra “lista previdente” vi ricordo che Google sa meglio di voi quali sono i siti brutti dai quali ricevere link, e ci pensa lui a “bloccare” l’impatto sul vostro grafo dei link di queste zozzerie attraverso ad esempio Penguin 4, che non è il fratello di Daitarn ma ha uguale spazio nel cuore di noi SEO. Il disavow è CURA non prevenzione, non facciamo come con gli antibiotici per il raffreddore.
4 ► Devo ammettere che ho smesso da un po’ di seguire con attenzione il Moz Whiteboard Friday per vari motivi che non starò a discutere qua. Fattostà che mi ero perso questa puntata tributo al grande Eric Ward. E’ dedicata alle “strategie senza tempo” consigliate da Ward stesso per fare link building. Essendo che provengono da chi ha praticamente coniato il termine ( anche se si definiva un link strategist ) direi che bisogna drizzare le orecchie.
Riassumendo e rielaborando i punti salienti per i pigroni:
- Il contenuto che vuole raccogliere link ha davvero ragioni per venire preso in considerazione dal link prospect, a parte il possibile incentivo economico? Ha una connessione emozionale, strategica o imprenditoriale con il prospect? Bisogna conoscere chi vogliamo che ci mandi un link e capire con quale leva convincerlo. Certo se parliamo di un giornalista che vende link sottobanco dal quotidiano la ragione non può essere che quella economica, ma nella maggiora parte dei casi è molto meglio creare una vera connessione, anche umana. Chi si impegna a fare queste cose non solo sale nelle SERP ma migliora come imprenditore o come professionista attraverso il networking;
- Questa la spingo MOLTO anche io: il contenuto è interessante per l’audience del sito target? Se non lo è, il link non ha senso. Come fa notare Fishkin, probabilmente esistono segnali “browser level” che pesano un link anche in base al suo utilizzo nella pagina. Un link dimenticato in un post del 1998 su Repubblica ha un peso differente rispetto ad un link che viene cliccato una volta su due in un contenuto che genera traffico di per se. Ricordate che Google ha il browser e il sistema operativo mobile più diffuso e che nel T.O.S. ci dice, e ci fa firmare, che possiamo essere spiati più o meno come meglio crede. A parte questa ragione meccanica, un link non può essere utile solo per il PageRank che passa: un bel link porta anche traffico, di quello buono e interessato veramente al sito di destinazione;
- I contenuti che vogliamo ricevano link devono essere AGGIORNATI. Nell’esperienza decennale come link builder Ward ha notato che i webmaster sono più propensi a mandare un link verso un contenuto fresco rispetto ad uno “lasciato li”. Io mi fido sulla parola, se ci pensate ha molto senso. Ottimo spunto;
- La link building richiede strategia. La strategia richiede la comprensione profonda dell’argomento e della scena relativa al proprio sito web. E’ assolutamente uno dei consigli migliori sui quali potete ragionare: senza conoscere veramente l’ambito e gli attori non potete pensare “out of the box” e suscitare reazioni. Questo discorso è naturalmente legato al discorso della connessione con i propri link prospect ed è il perno sul quale basare per esempio la propria strategia di outreach. Ad esempio, esiste qualcosa che gli attori in un determinato ambito desiderano ma non sanno di farlo? Posso darglielo io? Ho qualcosa che io solo possiedo e che potrebbe, presentato nel modo giusto, interessare loro?
Impossibile rispondere a queste domande senza una comprensione di prima mano.
Ho un paio di casi pratici che sto tenendo per lo spazio privato sulla SEO che sto progettando da diversi mesi ( info: http://eepurl.com/cEpsKD ); - Pensare solo al breve periodo porta a penalizzazioni e risultati inferiori alle aspettative. Fishkin cita Ward, che si faceva chiamare “il Mosè dei link” : “chi fa schemi di link mangerà oggi ma chi guadagna i propri link mangerà da una tavola imbandita per il resto dei secoli”. Amen;
Ricordo la possibilità di donare alla famiglia di Ward da questo link https://www.youcaring.com/familyofericwardakalinkmoses-989017, personalmente ho donato la cifra minima ma mi sembra doveroso verso una person che ha DATO e DATO durate la sua carriera professionale;
5 ► Questo articolo del mio amico Francesco Margherita centra il segno su quella che io chiamo la VERA keyword research: la ricerca del linguaggio utilizzato dalla propria utenza. Le parole chiave non vanno selezionate per i volumi di ricerca: vanno selezionate per la rilevanza con la nostra query: ci penserà poi Google a mandarci traffico da un cluster di chiavi di ricerca correlate alla query.
I nostri utenti fanno vere e proprie domande come se parlassero ad una persona, sopratutto attraverso tecnologie sempre più raffinate come la ricerca vocale. Le hanno sempre fatte ma Google e soci erano troppo primitivi per capirle e l’affinamento avveniva spezzettando i concetti in cluster di parole, se ci pensate le ricerche efficaci 10 anni fa si facevano proprio così. Con Hummingbird abbiamo assistito al cambiamento radicale nelle capacità di Google, e con questo i metodi per fare SEO come si deve.
Cosa influenza e chi influenza in linguaggio? L’articolo parla proprio di questo. Individua:
- soggetti di influenza, ovvero chi o cosa trasforma il linguaggio;
- variabili di influenza, ovvero quali sono i fenomeni sociali e culturali che possono determinare una trasformazione;
Tutte cose molto interessanti che vi invito ad approfondire. Francesco ha ragione da vendere quando invita a ragionare sul linguaggio e a monitorare non solo i tool e le SERP, ma sopratutto tutti i medium attraverso i quali il pubblico si esprime a riguardo degli argomenti che ci interessano e formano quelle che diventeranno le keyword vere e proprie.
Per citare il passaggio chiave “La questione non è sempre legata alle ricerche nuove, ma al modo nuovo di cercare le stesse cose“. Anche per questo dico sempre che la SEO, sopratutto la parte attiva di scrittura dei contenuti, va fatta in house, immersi nell’ambiente e nel linguaggio relativo. Il SEO deve occuparsi del lato tecnico della comunicazione e di estrapolare i dati non palesi che l’esperto di settore non ha le competenze per acquisire. Leggete tutto l’articolo, è un ordine!
Ah, restate connessi perchè sicuramente dedicherò un megapost sulla keyword research e la query research sul mio blog. #sapevatelo