Ciao! Benvenuta/o in questa newsletter un po’ succinta visto il mio o mal di schiena piuttosto invalidante e la mancanza di contenuti tosti negli ultimi sette giorni, spero che con gli eventi in vista i SEO riaccendano i motori! Detto questo ti auguro una buona lettura.
In questa edizione della EVSEO Newsletter:
Il “tempo di permanenza” secondo un ex di Bing
Cos’è esattamente il tempo di permanenza? Questa metrica tanto citata e tanto incompresa è l’oggetto di discussione di questo post di Duane Forrester, ex SEO di MSN ed ex Product Manager di Bing per webmaster, qualcuno insomma che è stato “dall’altra parte” della barricata.
Secondo lui il tempo di permanenza “è il lasso di tempo che una persona ha speso visitando un sito web dopo aver cliccato un link nelle SERP e prima essere tornato alla SERP stessa“. E fin qui la faccenda è piuttosto chiara.
Sorge però il primo dubbio e la prima grande fonte di incompresioni: questo tempo deve essere quindi sempre il più lungo possibile? Come giustamente fa notare poche righe dopo Forrester non necessariamente: query diverse vengono soddisfatte in tempistiche diverse. Consultare le previsioni del tempo, controllare l’orario di un ristorante o cercare la data di un evento storico sono azioni che richiedono poco tempo (e Google, con i suoi rich results, lo ha bene in nota). Come giustamente dice durante l’articolo il tempo di permanenza è una metrica relativa che va considerata insieme ad un mix di altri fattori, l’intento (o il presunto tale) di ricerca prima di tutto aggiungerei.
Sono molto contento del fatto che l’autore si sia soffermato a parlare di cosa non bisogna confondere con il tempo di permanenza:
- Il tempo di permanenza non è la bounce rate: oltre ad essere una metrica definita ARBITRARIAMENTE dai software di web analytics quali, appunto, Google Analytics, la frequenza di rimbalzo tradizionalmente misura ogni tipo di rimbalzo, non solo quello di ritorno in SERP. Solitamente si dice che un utente “rimbalza” quando visita una sola pagina e poi lascia il sito: che questo avvenga perché torna alla SERP, perché chiude la finestra del browser o perché salti la luce in casa sua non ci è dato di saperlo. Possiamo la maggior parte delle volte filtrare la sorgente di traffico in ingresso ma non determinare in modo puntuale il perché dell’uscita;
- Il tempo di permanenza non è il tempo medio sulla pagina ne la durate della sessione: semplificando molto tendenzialmente queste sono metriche che vengono misurate con molta approssimazione perché i software di web analytics funzionano per lo più con “eventi” che vengono causati da azioni dell’utente sul sito stesso e, come per la bounce rate, senza tenere veramente conto di dove o come si stia “uscendo”;
- Il tempo di permanenza non è il CTR: come dice Forrester il tempo di permanenza prende in considerazione ciò che accade DOPO il click, non prima e non “durante”;
- Il tempo di permanenza non è RankBrain: questa suona un po’ buffa detta da un ex-Bing ma si, sicuramente questa metrica non coincide 1 a 1 con la tecnologia di Google e, come giustamente afferma l’autore, RankBrain lavora sulle query direttamente sulle SERP, mettendosi “in coda” all’algoritmo classico filtrandone il risultato per le query che il motore di ricerca non aveva ancora visto. Secondo Gary Illyes “Rankbrain è un ccmponente per il ranking “PR-sexy” (penso intenda un ottimo argomento di conversazione agli eventi di settore) basato sul machine learning, il quale utilizza set di dati storici per arrivare a prevedere quale risultato un utente sarebbe portato a cliccare per una query che il motore di ricerca non ha ancora incontrato”;
In buona sostanza il tempo di permanenza “non è una metrica pubblica misurabile con un tool di terze parti: solo i motori di ricerca hanno accesso a questa misurazione“.
I consigli in coda sono i soliti ma è buona cosa ripeterli: la cosa migliore sulla quale concentrarsi è l’esperienza utente. Ultimamente mi trovo sempre più spesso a consigliare forti cambiamenti a livello di assetto grafico e di tipografia perché tendenzialmente, per scelte di design o di soggettivo gradimento, vedo i siti web che erroneamente spingono ben al di là dell’above the fold il primo contenuto veramente utile o comunque un qualsiasi elemento che faccia dire all’utente “ah bene sono nel posto giusto!”. Non sovrastimare mai la pazienza e la determinazione dell’utente medio: è molto più “nervoso” di quello che pensi. In un mondo dove il “tutto e subito” è l’ordine del giorno bisogna adattarsi.
Per farvi un esempio pratico sto completando una piattaforma dove raccoglierò tutti i miei contenuti extra blog e ho deciso di non mettere un H1 in testa alla pagina perché da mobile spinge troppo in basso i player embed di YouTube e Spreaker. Non lo metto neanche sotto perché ci sono delle CTA che voglio rimangano protagoniste dopo il contenuto. Avrà un impatto diretto sul posizionamento? Se anche lo avesse presumo sarebbe abbondantemente mitigato: penso che fare questa cosa sia qualcosa che può migliorare le performance del contenuto e la gradevolezza della pagina per gli utenti, dettagli che a mio avviso bilanciano qualsiasi “segnale perso”, anche a livello molto tecnico e semantico quale la mancanza di un H1. Naturalmente questo è un caso limite ed è un progetto dove la SEO non è protagonista: continua a mettere gli H1!
Come al solito, insomma, ci sono cose più interessanti, pratiche ed efficaci a livello di business sulle quali concentrarsi rispetto al crucciarsi sul “tempo di permanenza”. Andiamo oltre.
Leggi il post di Duane Forrester sul tempo di permanenza
Google annuncia (e rilascia) le “domain properties” in Search Console
Fresco di oggi l’annuncio dell’implementazione nella Search Console delle “domain properties“, ovvero di proprietà nella search console che comprenderanno tutti i sottodomini (dal classico m-dot, la versione www e qualsiasi altra cosa vi venga in mente) e le versioni sia HTTP che HTTPS di un dominio/sottodominio da noi posseduto.
Inizialmente sono rimasto negativamente colpito dall’annuncio perché pensavo fosse possibile solo avere un’unica proprietà e quindi aggregare forzosamente i dati, in realtà mi pare di capire che sarà possibile selezionare anche un sottodominio e avere in cascata aggregati tutti i sottodomini/versioni relative.
Ecco un esempio molto chiaro nel tweet di Pedro Dias, riportato da John Mueller:
Spero di aver capito bene perché sennò sarebbe la mitica “cagata pazzesca” del ragioner Ugo Fantozzi. Questa voglia di aggregare i dati secondo i canonical e quindi inquinarli la trovo già di per se molto fastidiosa ma se queste proprietà avessero forzatamente compreso tutti i sottodomini e le versioni in cascata dal dominio di secondo livello sarebbe state una bella rottura di scatole.
Intendiamoci: già oggi si potevano aggregare i dati facendo query alle API di Search Console, così come in un qualche modo probabilmente si potranno, con qualche approssimazione, dividere ad esempio utilizzando i log (o almeno è la prima cosa che mi viene in mente) ma avere un sistema ufficiale fatto bene in entrambi i sensi sarebbe molto comodo. Nei prossimi giorni dovrò lanciare qualche sito nuovo, nel caso mi fosse possibile testerò tutto molto volentieri.
Leggi l’annuncio di Google relativo alle “domain properties”
Altri articoli interessanti
Ecco una carrelata di articoli interessanti che non ho voluto/potuto approfondire e qualche curiosità che vorrei segnalarvi:
- Ogni tanto su internet di vedono cose bizzarre ma che fanno pensare, come questo sito che tramite una A.I. genera inserzione di appartamenti stile Air B&B che non esistono. La cosa interessante è che l’autore, secondo questo articolo di futurism.com non aveva esperienze precedenti con le intelligenze artificiali ne ci ha speso troppo tempo sopra arrivando comunque ad un livello che, secondo me, trarrebbe probabilmente in inganno l’utente medio. Insomma per raggiungere un livello di sofisticazione “pericoloso” non ci vuole poi così tanto. Così come l’ormai mitica “DeepFake“, tecnologia con la quale è possibile sovraimporre il viso di un’altra persona ad un video con risultati piuttosto “convincenti”, questo genere di applicazioni in grado di generare sofisticazioni della realtà stanno trasformando internet e, temo, potranno arrivare a trasformare la società stessa nelle mani sbagliate. Quello che possiamo fare è mettere più attenzione nell’analizzare le informazioni con le quali entriamo in contatto e quelle che condividiamo;
- Barry Schwartz ha riportato un tweet di Frédéric Debut, membro del team per la search di Bing, dove candidamente ammette che “relativamente poche persone dentro Bing sanno veramente come funziona la ricerca”. Figuriamoci noi. Non rincorrere l’impossibile, concentrati su quello che sai e soprattutto investi su attività che portano risultati su più fronti, magari un mix tra la relativa imprevedibilità della SEO e i più prevedibili effetti sul business e sui propri utenti;
- Gli amici di Google sanno dove girano le banconote (digitali) ed ecco quindi un’indiscrezione secondo la quale l’azienda starebbe per annunciare, il 19 marzo 2019, un servizio di videogame streaming, ovvero un servizio/periferica per giocare ai videogame di ultima generazione senza possedere una console, così come su Netflix si possono guardare film senza possederli su supporto fisico. Che cappero c’entra con una newsletter SEO? Beh, oltre al revenue stream proveniente dal servizio in sè, questa cosa accentrerebbe ancora una volta un flusso di dati “sociali” mostruoso, relativo ad una industria che vale 138 miliardi di dollari, nelle mani dell’azienda americana e gli permetterebbe, ma questa è una mia personale idea, di addentrarsi in modo pesante in una delle interfacce internet più utilizzate dai giovani, ovvero il gioco stesso. Che questo “project Yeti” sia finalmente la seconda venture per la raccolta di dati del “grafo sociale”, dopo Google Maps che nel tempo è diventato il social de facto di Google, che l’azienda insegue da tanto tempo? Seguirò la situazione con grande curiosità;
Il pensiero della settimana
Amico mio, ricordati sempre che c’è chi fa le classifiche dei migliori SEO includendo gente che non fa SEO e chi, dopo una notte insonne per il mal di schiena, seleziona i contenuti migliori e ti scrive una newsletter gratuita 🙂. Sono un po’ acidello ma il dolore fa arrabbiare!
Ti aspetto la settimana prossima e nel mentre ti auguro una buona settimana e una buona giornata,